giovedì 19 settembre 2013

Tutto non è abbastanza...è niente.
di Antonello Calipari


Sembra assurdo, può anche esserlo per certi versi…ma spesso credo che sia più vero di quanto si possa immaginare.
Basta pensarci un attimo…

Desideriamo una cosa così intensamente…così tanto che, se solo potessimo aver l'occasione di averla, sarebbe il massimo che si potesse chiedere alla vita.
Poi la otteniamo.

Ma sembra come se l'avessimo avuta da sempre…non ci emoziona…
Allora desideriamo qualcosa di più grande, qualcosa al di sopra delle nostre possibilità…qualcosa che davvero, se si potesse ottenere, sarebbe come poter ottenere una seconda vita.
Poi magari la otteniamo.

Ma, anche stavolta, sembra come se l'avessimo avuta da sempre…non ci emoziona…
Allora si cerca di ottenere qualcosa di unico, una chimera…un'utopia…qualcosa che vada oltre il più inestimabile dei valori che si possano conoscere…il massimo che si possa desiderare…
E magari la si ottiene.

Ma non è abbastanza. Non è mai abbastanza.
Si potrebbe avere tutto…ma non sarebbe mai abbastanza. Non lo è mai stato…e ne mai lo sarà, questo è poco ma sicuro.

Abbiamo tutto…ma è come se non avessimo niente.

Eppure si desidera sempre di più, sempre di più, sempre di più…senza rendersi conto che la cosa più grande, più inestimabile…più unica che possa esistere…l'abbiamo già.

È la vita.

Ed è già abbastanza...è tutto.

AC

lunedì 9 settembre 2013

Mente umana...perfezione e fragilità.
di Dario Morello


Si, è proprio vero, la mente umana è perfezione e fragilità.
Equilibri tanto complessi ed efficienti, fragili ed instabili: un ecosistema fatto di meccanismi conservativi e protezionistici che riescono a velare la realtà senza mai far distaccare l'uomo dal mondo esterno.

È questo quel che penso. Come fare a credere diversamente mi chiedo.
Parlo per esperienza provata sia su di me che su persone a me care e vicine.
É brutto parlare di “campionamento” in questi contesti, ma prendiamo in considerazione la reazione della nostra mente quando essa stessa è esposta ad eventi dolorosi, capaci di modificare l'affrontare della vita futura dell'individuo a cui accadono.

Campione numero UNO (Me).
7 settembre 2008: muore la persona che più mi assomiglia e mi comprende, “zia dadà”, mia zia Daniela. Personalità solare, vulcanica e sempre sorridente, sensibile e di polso al contempo, animo da poeta, suscettibile al mondo esterno ed ai sentimenti cupi che si scontravano quasi a lottare con l' ilarità che la contraddistingueva.
Ero legato a lei come non mai, mi sentivo capito ed accettato anche perché criticato da tutti per i difetti che con essa condividevo.
7 settembre 2008…una data che difficilmente scorderò.
Se devo essere sincero, non mi capita di pensarci spesso…anzi posso dire quasi mai…e se ci penso una volta, è difficile che ci pensi subito dopo.
Sono arrivato a pensare che il mio non pensarci non sia da attribuire ad una sorta di menefreghismo dato dalla pienezza di impegni che caratterizzano la mia vita, ma bensì ad un meccanismo protezionistico del mio cervello, che è stato posto in essere per preservare me dal dolore lancinante che mi procura il pensiero della sua assenza.
Una sorta di rimozione, di insabbiamento di quel pensiero che fa così male.
”Ci si auto impone di rassegnarsi all'accaduto e superarlo vivendo”.

Campione numero DUE, Armando.
Ragazzo autistico di 30 anni, cresciuto nell’amore profondo, nella costante presenza e nell'assoluto ovattamento della realtà da parte della madre e della sorella maggiore. Assiduo frequentatore della palestra di paese, dove mi alleno anch’io, e contesissimo portiere di calcetto, Armando ha intorno a se rispetto ed è ben voluto da tutti: una situazione sociale che lascia intendere un roseo benestare e una costante serenità.

Ho preso questo particolare profilo per illustrare un'altra caratteristica, o meglio, un altro meccanismo di protezione mentale, che questa volta non si auto induce, bensì è “aiutato ad entrare” nel “modus cogitandi” dell’individuo, processo che solo una persona fidata può mettere in atto, in special modo quando si ha a che fare con questi tipi di soggetti.
Parlo di quelle cose che noi tutti diamo per scontate …ma che se vengono a mancare vanno a frammentare, sgretolare, cambiare il modo di vedere della persona stessa.
La madre di Armando viene a mancare per colpa di un tumore che non le dava pace ormai da una vita, anzi, la illudeva di poter guarire nei periodi di stasi che vigliaccamente si susseguivano, quasi come un grottesco tira e molla tra lei ed il male che la stava consumando.

Armando, qualche giorno dopo l’accaduto, torna in palestra come se nulla fosse accaduto, con la solita attenzione e precisione maniacale che manifesta da sempre, ed inizia gli allenamenti, proprio accanto a me: dopo un ora di attività, senza proferir parola con nessuno, si avvicina ad un suo storico compagno d'allenamento, che da anni lo conosce e nutre affetto nei suoi confronti, come se fosse uno di famiglia, dicendogli, con tono squillante e deciso:
“Lo sapevi che mamma è venuta a mancare? Porca miseriaccia! Ma tanto adesso sta bene perché è in cielo ed è un angelo”.
La decisione e la sicurezza con cui scandiva il discorso non lasciavano intendere nessun cedimento: io, ed il resto delle persone che avevano ascoltato le parole del ragazzo, eravamo allibiti…senza parole per la freddezza ed il distacco con cui veniva trattato il delicato argomento, quasi come se non lo toccasse.

Qualche secondo in ritardo, riflettendo sui toni di Armando, ero arrivato ad ipotizzare che su di lui magari era stata esercitata, dalle persone a lui care, una vera e propria “indottrinazione” fatta per non farlo stare male…pensai subito che il lavoro di “plagio” a fin di bene, fatto su Armando, aveva un effetto da far invidia al migliore “ipnotizzatore” sul mercato.
Mi sbagliavo.

Armando, come tutti gli autistici, nonostante i progressi fatti, ha sempre avuto una personalità introversa, non mostrando mai le sue vere emozioni, se non i casi speciali.
Quel giorno era un caso speciale…il dolore provato era così forte da riuscire a rompere le barriere dell'autismo e della “ipnosi” compiuta su di lui.
Allontanandosi dal suo storico compagno d’allenamento, si avvicinò a me…dicendomi, con una mimica ed un trasporto mai mostrato prima: 
“…ma proprio a me doveva capitare?”.

Dopo quest’ultima esclamazione, tornò con naturalezza ai suoi esercizi, e come lui il resto della palestra…io invece uscii fuori…e mi commossi per la confessione di dolore che armando aveva appena fatto: ero davvero toccato da quello che era riuscito a comunicarmi…e da li per l’intero giorno mille pensieri e riflessioni si facevano largo nei meandri della mia testa.
Non riuscivo a capacitarmi di come non ci siano “modi diversi” di provare dolore e che non esistono ancora persone non in grado di soffrire e dispiacersi, a prescindere dalla composizione culturale e mentale dei singoli individui.

Non si può scegliere di non soffrire. Lo si fa e basta.
Questa è la spiegazione che cerco di darmi a riguardo delle dinamiche con cui la mente umana affronta i casi di dolore più acuti e strazianti…casi che quasi sempre sopraggiungono quando si perde una persona cara.

Sono sempre più affascinato ed incuriosito dalla struttura comportamentale dell'essere umano: l'articolata e fitta rete mentale di ognuno di noi è paragonabile, a mio avviso, ad un profondo abisso inesplorato…si può solo ipotizzare quanto profondo sia e come si presenti davvero, ma la realtà è che questi sono principi troppo complessi per poter essere compresi da noi semplici uomini, al livello intellettuale odierno.
Forse un giorno…chissà…

DM - Dario Morello